giovedì 3 novembre 2016

LORENZO CARANCINI TRIO

Lorenzo Carancini Trio

Questa una breve demo del mio trio.

Lorenzo Carancini alla chitarra
Archelao Macrillò alla batteria
Filippo Macchiarelli basso e voce.




lunedì 4 luglio 2016

venerdì 3 giugno 2016

LA SCALA PENTATONICA pt. 4


Nuovo video sull'uso della scala pentatonica. Come sovrapporre una pentatonica minore su un accordo di dominante. In particolare una pentatonica di C#m sopra un accordo di A7.

lunedì 16 maggio 2016

IL COMPRESSORE

Pubblico un articolo che scrissi tempo fa per Strumenti Musicali. Si parla di COMPRESSORE.

IL COMPRESSORE.

Il compressore è uno di quegli effetti che in pochi riescono realmente a comprendere e ad utilizzare. Ma le sue applicazioni, in questo caso nel campo della chitarra, sono veramente molto utili ed interessanti.

Prima di tutto capiamo cos’è un compressore: il compressore è un dispositivo che controlla il volume. In pratica agisce sul volume di un segnale costringendolo all’interno di una soglia prefissata. Esistono due tipi di compressione: downward compression che comprime i picchi di volume e upward compression che invece aumenta il volume del segnale qualora sia troppo basso. Il risultato del processo di compressione è la diminuzione della dinamica del segnale. La dinamica è l’intervallo di volume dentro il quale è racchiuso il segnale, il compressore fa in modo di variare questo intervallo comprimendolo, appunto, ad un valore minore. Per fare un esempio prendiamo in esame dei valori del tutto inventati: se il nostro segnale va da 20dB a 50dB, con un intervallo dinamico di 30dB, potremmo fare in modo che questo intervallo diventi di 20dB variando il minimo a 25dB e il massimo a 45dB. Oppure, sempre con lo stesso segnale, potremmo fare in modo di diminuire lo stesso l’intervallo dinamico aumentando il picco massimo, passando da 40dB a 55dB. In questo caso l’intervallo sarà di 15dB ma il volume generale del segnale risulterà più alto.
Fisicamente un compressore è un amplificatore a guadagno variabile che ha il compito di ridurre l’intervallo dinamico. Esistono compressori analogici composti da amplificatori controllati in tensione che riducono il guadagno all’aumento del segnale in ingresso; oppure compressori ottici i quali utilizzano un diodo sensibile alla luce il quale riconosce le variazioni della luce che è soggetta ai cambiamenti del segnale in ingresso.
I parametri principali sono quattro: treshold, ratio, attack e release. Il treshold è il valore della soglia oltre la quale il compressore entra in funzione, da notare che la compressione agisce solo sulla parte di segnale che oltrepassa la soglia. Ratio è il rapporto di compressione cioè quanto il segale deve essere compresso. Solitamente il valore varia da ∞:1 a 1:1; nel primo caso la compressione reale è di 60:1 e la parte del segnale che oltrepassa la soglia viene riportato al valore della soglia stessa; nel secondo caso la compressione è del tutto inesistente. Nella chitarra solitamente il rapporto di compressione è di 4:1 il che significa che se all’ingresso del compressore il segnale è di 4dB all’uscita verrà ridotto a 1dB. Il parametro Attack serve a definire quanto velocemente il compressore deve entrare in funzione: più sono lunghi i tempi di attacco maggiore sarà la dinamica del segnale. Nella chitarra raramente si usano tempi di attacco troppo veloci, perché la tendenza è quella di fare in modo che la compressione entri in funzione dopo la pennata. Il suono del plettro che “sbatte” sulla corda è la parte iniziale della nota ed è quella che permette al nostro orecchio di percepire quella nota come “definita”. Comprimere anche quella parte porterebbe ad una perdita di definizione che si traduce in “ma perché la chitarra non esce?”. Il Release invece è il tempo che impiega il compressore a disattivarsi una volta che il segnale torna al di sotto della soglia.
Questi due parametri, Attack e Release, sono gestiti in maniera diversa da compressore a compressore. Nei compressori che lavorano in RMS Mode questi valori sono regolati automaticamente in base alle caratteristiche del segnale, invece nei compressori in Peack Mode i valori di Attack e Release sono modificabili dall’utente. Nei compressori più sofisticati esiste un altro parametro che si chiama “Curva di compressione” che ci permette di stabilire se e quanto smussare l’angolo della curva di compressione. Quando il compressore entra in funzione il segnale subisce una forte variazione che può essere “addolcita” e resa più lineare grazie a questo parametro. Una curva più leggera (soft knee) rende la compressione molto più naturale.

Nella chitarra il compressore trova svariate applicazioni in base al genere musicale e al tipo di suono che si utilizza. Nelle ritmiche funk si usa molto il compressore per livellare il volume delle note. In questo modo la ritmica risulta più omogenea e di conseguita è più efficace nel mix del brano. Altra situazione in cui il compressore è molto utilizzato è quella degli arpeggi. Nell’arpeggiare un accordo succede spesso che le note non vengano suonate tutte con lo stesso volume e questo rende l’arpeggio poco omogeneo e brutto da sentire, con il compressore si riesce a livellare il volume delle note in modo che suonino tutte uguali. Altra caratteristica importante del compressore è quella di aumentare il sustain della nota, prolungandola per un tempo maggiore. In pratica ogni volta che la nota tende a diminuire di volume il compressore la riporta dentro al valore minimo impostato, naturalmente finché ci riesce. Questo ci dà la possibilità, in presenza di note lunghe, di rendere più uniforme il volume di emissione della nota dal momento che viene suonata fino a che non viene stoppata. Un esempio è il solo di “Another brick in the wall” dei Pink Floyd dove le note sono prolungate oltre ogni limite. Quando si usa il wha-wha il compressore è utile sia ad eliminare i picchi sulle alte frequenze che spesso risultano fastidiosi, sia in fase di mix, a rendere più presenti quelle ritmiche che a volte risultano poco intellegibili. L’unica raccomandazione è di andarci piano con la compressione per evitare di appiattire troppo la dinamica: il compressore è molto utile ma anche molto pericoloso.

lunedì 9 maggio 2016

LA SCALA PENTATONICA pt. 3

LA SCALA PENTATONICA pt. 3



Nuovo video sulla scala pentatonica, questa volta si parla di scala pentatonica ed accordi di settima dominante.

lunedì 2 maggio 2016

DISTORSORE O OVERDRIVE?

Pubblico un articolo che scrissi tempo fa per STRUMENTI MUSICALI. Si parla di differenza tra distorsore e overdrive.

DISTORSORE O OVERDRIVE?

L'eterno dilemma di chi non sa decidersi! Sarà meglio il distorsore o l'overdrive? Ma poi che differenza c'è?

Prima di addentrarci in spiegazioni più o meno tecniche iniziamo dal concetto di "distorsione". Per distorsione si intende un'alterazione della forma originale di un'immagine, un suono o, in via del tutto astratta, di un pensiero. Alla luce di questo la distorsione è vista come un difetto, o meglio un effetto indesiderato. Per capirci meglio un dispositivo Hi-Fi si comporta in maniera lineare restituendo all'uscita lo stesso segnale che si trova all'ingresso, lasciandone inalterate le caratteristiche. Nel mondo dell'amplificazione per chitarra, invece, non vale questo principio, soprattutto per noi chitarristi che invece facciamo della distorsione il nostro asso nella manica. Passiamo a descrivere fisicamente cosa si intende per distorsione e cosa per overdrive. Nel caso della distorsione la forma d'onda in ingresso viene "squadrata", viene cioè trasformata da sinusoide in onda quadra. Nel caso dell'overdrive, invece, abbassata in modo che i suoi picchi siano contenuti all'interno del range prestabilito; non viene fatto alcun taglio alla forma d'onda. Quindi concettualmente stiamo parlando di due processi completamente diversi sia da un puntao di vista fisico che elettronico.
La distorsione si ottiene partendo da un dispositivo chiamato "Trigger di Schmitt" (un amplificatore operazionale) che trasforma l'onda "sinusoidale" in ingresso in un'onda quadra. L'onda quadra generata, che è il segnale distorto, viene miscelato al segnale "pulito" proveniente dalla chitarra tramite un controllo che può chiamarsi "DIST" o "GAIN"a seconda delle case produttrici. L'overdrive invece si ottiene portando a saturazione il preamplificatore senza modificare in alcun modo la forma d'onda. Il classico suono overdrive è quello tipico degli anni settanta, ottenuto regolando il volume degli amplificatori al massimo- L'unico inconveniente a quei tempi era appunto il volume, problema poi risolto aggiungendo un potenziometro che regola il volume di uscita del preamplificatore. Grazie a questo potenziometro è possibile portare il preamplificatore a saturazione mantenendo dei volumi accettabili. Quindi è chiaro che la saturazione avviene quando il volume del segnale ha raggiunto il suo limite massimo, ma questo comporta anche uno schiacciamento della dinamica. Un suono molto saturo è, per sua natura, un suono poco dinamico. Se suoniamo con un suono molto distorto e proviamo ad abbassare il potenziometro del volume della chitarra ci accorgiamo che il volume non diminuisce. Quello che diminuisce è la quantità di distorsione, il guadagno. La dinamica diminuisce all'aumentare della saturazione, quindi dinamica e saturazione non vanno assolutamente daccordo, ma c'è un modo per farli coesistere. Negli anni ho imparato, da chitarristi molto più bravi di me, come poter rendere dinamico un suono molto saturo: la soluzione maggiormente praticata è quella del boost. Si parte da un suono molto saturo e si abbassa gradualmente il gain, poi si aggiunge un pedale, ad esempio un overdrive, con il gai quasi a zero e il volume quasi al massimo. In questo modo non facciamo altro che aumentare il volume del segnale di ingresso dell'amplificatore e di conseguenza di conseguenza aumentare la saturazione del canale stesso. Il pedale in questio può essere un overdrive, un distorsore, un equalizzatore, un compressore, la scelta va fatta in base al risultato che vogliamo ottenere, l'importante è che questo pedale abbia la possibilità di aumentare il volume del segnale. Esistono pedali nati per compiere questo semplice compito, si chiamano boost. Il concetto è molto semplice: se l'amplificatore lavora, ad esempio, moltiplicando per dieci il guadagno del segnale in ingresso, è facile capire che se il segnale in ingresso vale uno quello che esce è dieci, se invece vale dieci uscirà cento. A questo punto la quantità di saturazione è gestita dal pedale e l'amplificatore può lavorare ad un guadagno tale da non compromettere troppo la dinamica. E' possibile applicare questo concetto anche ai pedali, seguendo lo stesso procedimento. Ci sarà un pedale che si occuperà di generare il suono distorto e un altro che avrà il compito di alzare il livello del segnale d'ingresso per aumentare la quantità di saturazione. La tendenza è, purtroppo, sempre quella di alzare il gain illudendosi che con più distorsione si riesca a suonare meglio. In realtà un segnale troppo saturo non ci aiuta affatto a suonare meglio, anzi ci costringe ad avere un suono poco definito. Un consiglio che mi sento di dare è quello di abbassare gradualmente il gain del canale distorto ed abituarsi a suonare con meno saturazione; in questo modo il nostro suono sarà molto più chiaro e, cosa molto importante, acquisterà maggiore dinamica rispondendo meglio al nostro tocco.

mercoledì 27 aprile 2016

LA SCALA PENTATONICA pt. 2



Nuovo video sulla scala pentatonica minore. In questo caso la scala è stata "modificata" aggiungendo due note la SESTA MAGGIORE e la NONA MAGGIORE. In questo caso la scala si trasforma in "dorica".

mercoledì 20 aprile 2016

LA SCALA PENTATONICA pt. 1


pubblico un video fatto tempo fa sull'uso della scala pentatonica. In questo video spiego a grandi linee il suono della scala e poi faccio degli esempi su come io la intendo nel fraseggio.

lunedì 18 aprile 2016

IL MANICO DELLA CHITARRA

Ecco un nuovo articolo che scrissi tempo fa per Strumenti Musicali. Si parla del manico della chitarra.

IL MANICO DELLA CHITARRA

Il manico influisce attivamente sul suono della chitarra. L'importanza che esso ha dipende da molti fattori che spesso non vengono presi in considerazione.

Il manico è l'elemento cella chitarra che ha sopra di se la corda per quasi il 70% dell'intero strumento, ed è quello che più di tutti impone ad essa un modo di vibrare. Valutiamo innanzitutto i diversi tipo di ancoraggio del manico al corpo: il set-in, ovvero manico incollato; il bolt-on, che è il manico avvitato al corpo con quattro o cinque viti e il neck-through-body dove il manico è un elemento unico dalla paletta al fondo della chitarra al quale viene incollata la parte restante del corpo. Per il set-in è preferibile che il manico sia dello stesso materiale del corpo, mentre per il bolt-on non c'è questa necessità, ma resta il fatto che in uno strumento ben riuscito è importante che i materiali di corpo e manico si interfaccino bene. Il set-in e il neck-through sono di derivazione classica e vengono preferiti da chi è alla ricerca di maggior sustain e maggior volume.
I legni principalmente utilizzati per il manico sono l'acero, in particolare l'acero proveniente dal Nord America per la sua robustezza, e il mogano, soprattutto usato per le scale corte essendo più morbido quindi più soggetto a deformarsi. Raramente di usa il legno di noce o il ciliegio. In commercio si trovano anche manici in grafite spesso utilizzati in strumenti dove viene richiesto un timbro neutro: il pregio maggiore di questo materiale è che non è sensibile a sbalzi di temperatura perciò si deforma difficilmente.
Fondamentale per il manico è anche il taglio del legno che, a seconda dell'impiego che si fa delle strumento, può essere di quarto, cioè perpendicolare alla tavola, o di piatto. Il taglio di quarto, tipico dei manici in mogano, irrigidisce la struttura e crea in suono percussivo; il taglio di piatto, tipico dei manici in acero, genera un suono più dolce. Anche la sagomatura del manico ha la sua importanza: il manico più è grosso e più influenza la corda, contrariamente più è sottile e più viene influenzato dalla corda, passando così da un suono più legnoso ad uno più metallico.
La tastiera è molto importante per la sonorità dello strumento, ma agisce anche da correttore timbrico. I legni utilizzati sono l'acero, l'ebano, il palissandro Indiano e Brasiliano, quest'ultimo attualmente in disuso perché a rischio di estinzione. Riguardo alla tastiera in acero esistono due possibilità di costruzione: tastiera incollata al resto del manico o maple neck dove manico e tastiera sono un unico blocco di acero. Questo tipo di costruzione genera un suono molto percussivo, caldo ma dettagliato. La tastiera in palissandro invece, essendo incollata al manico, conferisce una certa rigidità donando al suono calore e dolcezza. In ultimo l'ebano, molto usato nella liuteria classica, ha una definizione altissima, ma restituisce una certa freddezza all'attacco della nota; rimane comunque un legno che determina un'eccellente separazione tra le note che compongono un accordo. Per quello che riguarda il diapason della tastiera, comunemente chiamato "scala", ne esistono di tre misure: una è la 24 e 3/4'' (tipo Gibson), un'altra è la 25'' (tipo PRS) e l'ultima è la 25 e 1/2'' (tipo Fender). Ognuna di queste scale genera suoni completamente diversi. La 24 e 3/4'' è molto calda, mediosa e pastosa perché, essendo corta, permette alla corda di rimanere più morbida creando di conseguenza suoni più caldi. Il contrario vale per la 25 e 1/2'' con un attacco più netto, mentre la 25'' è stata ideata per creare una via di mezzo tra le altre due scale in modo da ereditarne i pregi. La dimensione della scala incide sulla dinamica: maggiore sarà la sua lunghezza, maggiore sarà la gamma dinamica.
Altro aspetto interessante da valutare sono i tasti, principalmente in nichel silver, una lega composta da nichel al 18% e da rame. Altro materiale molto usato per i tasti è l'acciaio inossidabile che non si consuma a contatto con le corde e fa meno attrito con la corda stessa. Molto adatto a chi fa ampio uso di bendings. La grandezza del tasto incide sulla suonabilità dello strumento ma anche sul suono. Un tasto piccolo permette al legno del manico di uscire meglio, mentre un tasto più grande, tipo jumbo o super-jumbo, crea un incremento di sustain dovuto alla massa stessa del tasto. Un tasto grande aiuta l'esecuzione di tecniche come il legato o il tapping, perché la corda, una volta premuta è più staccata dalla tastiera e quindi permette al dito e alla punta del dito di muoversi con più facilità. In genere un tasto grosso genera un suono più spesso con degli alti leggermente più pronunciati. Anche il capotasto influisce notevolmente sul suono; questo è il punto, insieme al ponte, dove viene trasmessa la vibrazione del corpo verso la corda. Il capotasto può essere di diversi materiali: metalli, materiali sintetici, osso, avorio, legno, grafite. In generale più il capotasto è duro più brillante sarà la risposta della corda. Per un buon compromesso tra pienezza e durata della nota è consigliabile l'osso; per una maggiore scorrevolezza si può optare per la grafite, che contiene dei microelementi autolubrificanti, o per il roller nut, composto da cuscinetti sui quali è poggia la corda. L'inconveniente per il roller nut è che essendo in metallo, toglie molta brillantezza al suono. Il capotasto in ottone è molto resistente e adatto a chi ha un tocco molto aggressivo, ma purtroppo toglie delle frequenze medie.
Per quanto riguarda le verniciature anche qui, come per il corpo, le vernici usate sono la nitro, i poliuretani o i poliesteri. Spesso si decide di non verniciare il manico ma di trattarlo con olio e cera: in questo caso il manico è molto più libero di respirare, di maturare, di vibrare e in più da una piacevole sensazione di naturalezza al tatto. L'inconveniente è che è molto più soggetto ad usura.

Grazie a Romano Burini per la consulenza tecnica.

venerdì 15 aprile 2016

martedì 12 aprile 2016

IL CORPO DELLA CHITARRA

Pubblico un articolo che scrissi tempo fa per Strumenti Musicali. Si parla del corpo della chitarra.

IL CORPO DELLA CHITARRA ELETTRICA

E' fuori di ogni dubbio che, parlando di suono, per un chitarrista la chitarra ricopra un ruolo fondamentale. Ecco perché è importante poterla scegliere nel migliore dei modi. Analizziamo le parti che la compongono e che contribuiscono a formarne il timbro sonoro.

Il suono che abbiamo in mente dipende da molti fattori, che cercherò di analizzare singolarmente per capirne meglio il funzionamento, la cosa fondamentale è scegliere lo strumento più adatto alle nostre esigenze, sia fisiche che sonore. Per iniziare partiamo dal "body": le caratteristiche costruttive del corpo della chitarra e i materiali utilizzati, favoriscono e meno un certo modo di vibrare delle corde. Cerchiamo quindi di seguire un filo logico e partiamo dai materiali: prima di tutti il legno. I legni più utilizzati per costruire i corpi delle chitarre sono il mogano Sud Americano, gradualmente rimpiazzato da quello Africano a causa della difficile reperibilità del primo, il frassino, preferibilmente quello leggere, e l'ontano. In qualche caso si utilizzano il noce o il koa e a volte anche l'acero, ma di rado a causa della sua pesantezza. Naturalmente ognuno di questi legni ha una suo sonorità; il mogano offre un'equalizzazione proiettata maggiormente sui bassi che si attenua sulle frequenze medie e va gradualmente a diminuire verso le frequenze alte. Il frassino è l'opposto del mogano, presenta parecchi alti, pochi medi e pochi bassi. L'ontano è quello più equilibrato, dove le frequenze sono distribuite più omogeneamente all'interno delle spettro sonoro. Il noce assomiglia all'ontano, con un suono più cristallino come l'acero che, però, ha un suono ancora più brillante. Cosa molto importante è la costruzione del corpo, nel senso che spesso si usano più tavole incollate a formare un blocco dal quale si ricava poi il corpo. Esistono corpi formati da due pezzi, ma anche da tre o quattro pezzi. Le tavole utilizzate vengono tagliate con un taglio detto "di piatto", cioè parallelo alla larghezza del corpo. Per una strumento di buona qualità direi di evitare corpi realizzati con più di due pezzi, perché ci sarà sempre una componente chimica estranea, più o meno rigida, che è la colla, che dovrà unire le parti. Vi lascio immaginare quanto questo componente sia cruciale in termini di trasmissione delle vibrazioni. Nel caso di un corpo realizzato in due o più pezzi, la cosa importante è che i pezzi provengano dalla stessa tavola, in quanto tavole diverse hanno un suono diverso e si annullano vicendevolmente. E' come se buttassimo a terra una moneta da un euro e una da cinquanta centesimi: quella da un euro, a differenza di quella da cinquanta centesimi, non suona perché è composta da due metalli diversi. Quindi, quando possibile, evitare corpi "multi-pezzo". C'è poi la possibilità di utilizzare legni differenti, accoppiando il corpo e un "top". Il top ha una funzione correttiva, nel senso che aggiusta il timbro generato dal legno del corpo, e nel caso di un top in acero incollato in un corpo in mogano, conferisce maggiore presenza. Aumentano gli acuti ma rimangono pressoché invariati i bassi e i medi. Quindi la scelta del top non è solo una questione estetica, anche se ci sono delle chitarre con topo talmente belli da poter essere appese in soggiorno!
Fino ad adesso abbiamo parlato di corpi "solid body", ma diamo uno sguardo anche alle camere tonali che sono cavità praticate nel corpo che hanno, anche in questo caso, un compito di correttore timbrico, oltre ad alleggerire lo strumento. Per capire meglio a cosa servono faccio un esempio pratico: un corpo in mogano ha un suono molto grosso. In generale un corpo con camere tonali è un po' meno presente sulle medie ed ha un suono più acustico.
Ci sono poi i corpi archtop tipo Les Paul o piatti tipo Telecaster. Anche questa è una differenza importante in termini di suono, in quanto i corpi archtop comportano un cambio dell'angolazione del manico rispetto al corpo e al ponte che, conseguentemente, comporta un cambio di tensione della corda e della vibrazione imposta alla corda stessa.
La verniciatura ha un ruolo importante; esistono vernici di natura organica come la nitro o la gommalacca, o sintetiche come i poliuretani o i poliesteri che sono dei composti di resina e induritori con tempi di asciugatura molto più rapidi e per questo preferiti per produzioni industriali. Le differenze sono abissali: la nitro lascia respirare e maturare il legno essendo nitrocellulosa, quindi a base organica, l'unico svantaggio p la resistenza nel tempo in quanto la nitro tende a creparsi e staccarsi (vedi le Stratocaster vintage degli anni '60). Mentre i poliuretani o i poliesteri sono molto resistenti anche ai vari solventi usati per la manutenzione e la pulizia della chitarra, ma è come se si applicasse uno strato di vetro intorno al legno, si inibisce molto l'azione vibrante dello stesso. E' quasi impossibile che uno strumento verniciato con vernici poliuretaniche possa maturare e migliorare nel tempo, cosa che avviene su strumenti verniciati alla nitro. Per riconoscere il tipo di verniciatura ci sono un paio di trucchi: le nitro è molto sottile in quanto tende ad assottigliarsi durante l'asciugatura diventando un velo alla fine del processo di lucidatura, mentre i poliuretano o i poliesteri non variano il loro spessore e, uno volta lucidato lo strumento, ci si accorge dello spessore "importante". Altra caratteristica è la durezza: la nitro si riga facilmente, basta un'unghia. cosa impossibile con i poliuretani o i poliesteri.

Ringraziamo Romano Burini per la consulenza tecnica.

mercoledì 6 aprile 2016

IL MODO LIDIO


Uno dei miei modi preferiti, il modo LIDIO. Ecco la mia personale interpretazione.

lunedì 4 aprile 2016

I PICK-UP: PRINCIPI DI FUNZIONAMENTO

Pubblico un articolo che scrissi tempo fa per la rivista STRUMENTI MUSICALI a proposito di pick-up.

PICK-UP: CONOSCIAMOLI MEGLIO

I pick-up amplificano la voce della chitarra. Capiamo come sono fatti e come funzionano per poterla valorizzare al massimo.

Tutto ha inizio da un principio fisico per il quale una bobina di filo di rame emette un segnale elettrico se viene eccitata da un campo magnetico. Il livello dei questo segnale elettrico dipende dalla forza del campo magnetico, dallo spessore del filo di rame e dal numero di avvolgimenti della bobina. Il campo magnetico del pick-up è prodotto da un magnete; è importante dire che esistono due tipi di magneti, quelli permanenti e quelli temporanei. I magneti permanenti sono delle calamite che una volta polarizzate mantengono la carica magnetica, mentre quelli temporanei perdono la carica nel momento in cui cessa il flusso magnetico. Nei pick-up il magnete posto sotto o all'interno della bobina permette alle corde, che vibrano all'interno del campo magnetico da lui prodotto, di trasformarsi in magneti temporanei. Questi magneti temporanei producono a loro volta un campo magnetico che va ad eccitare la bobina del pick-up, la quale emette un segnale elettrico che non è altro che il suono della corda poi trasdotto dall'amplificatore.
Per fare in modo che il campo magnetico sia più efficace nel pick-up vengono inserite delle espansioni polari (fisicamente dei piccoli perni di metallo) , ognuna delle quali è posta in corrispondenza di ogni singola corda per direzionare al meglio il flusso magnetico. Queste espansioni polari possono essere fisse o a vite, quindi regolabili in altezza. Questa seconda opzione ci da la possibilità di regolare il volume di ogni singola corda in modo da rendere il suono della chitarra più omogeneo, seguendo il raggio di curvatura della tastiera. Esistono anche pick-up con espansioni a lama, dove una lama appunto sostituisce le espansioni polari. La differenza sta tutta nel modo in cui agisce il campo magnetico: nel caso delle espansioni polari è fondamentale centrare la corda perfettamente sopra ogni espansione, in modo da captarne a pieno l'oscillazione. Nel caso della lama questa cosa non è indispensabile in questo essa è larga quanto l'intera distanza formata dalle sei corde, captando quindi il segnale in maniera omogenea per tutta la sua lunghezza.
Esistono due tipi di pick-up: il single coil e l'humbucker. La differenza principale tra i due sta nel fatto che il single coil è un pick-up a singola bobina, mentre l'humbucker ha due bobine o affiancate (hunbucker classico) o sovrapposte (mini- humbucker). Altra importante differenza è la "finestra magnetica" che è la zona dentro la quale agisce il campo magnetico. La sua dimensione agisce drasticamente sul suono, più la finestra magnetica è stretta più il suono sarà squillante. Un single coil ha una finestra magnetica molto più stretta rispetto ad un humbucker, infatti il suono del single coil è notoriamente più squillante di quello di un humbucker. Fa eccezione il P90 che è un single coil formato da due magneti e da una sola bobina piatta e larga; questo fa si che la finestra magnetica sia molto più ampia e di conseguenza il suono risulta molto più cupo, più simile ad un humbucker. Passiamo ai materiali dei magneti dei pick-up. Principalmente si usano magneti in AlNiCo (una lega di alluminio, nickel, cobalto e ferro) o magneti ceramici (magneti in ferrite composti da ossidi di ferro, bario e stronzio). L'AlNiCo produce un suono dolce, morbido e canterino in stile vintage, mentre il magnete ceramico è più adatto a chi fa rock avendo delle medie più pronunciate. Possiamo dire che con l'AlNiCo la voce acustica della chitarra viene valorizzata, mentre con il ceramico spesso è il pick-up che prende il sopravvento annientando un po' le caratteristiche timbriche e acustiche dello strumento. L'AlNiCo ha diverse gradazioni che sono espresse con un numero che va da II a V: più questo numero è elevato maggiore è la potenza (espressa in KΩ o kilo Ohm) del pick-up e progressivamente aumentano anche i bassi. Facciamo degli esempi: un single coil tipo "vintage" in AlNiCoII o AlNiCoIII misura dai 5,7 ai 6,0 KΩ; sempre un single coil da blues o rock-blues  in AlNiCoV  va dai 6,0 ai 6,6 KΩ. Passando agli humbucker, un modello vintage in AlNiCoII o AlNiCoV misura dai 7,8 agli 8,0 KΩ, quelli pi spinti possono invece passare da 8,5 a 9,0 KΩ fino ad arrivare ad humbucker più moderni che arrivano a superare i 10 KΩ. Esistono anche magneti in CuNiFe (rame, nickel e ferro) molto usati da Fendere per gli humbucker montati sulle Telecaster Thinline. Oltre al materiale del magnete anche il filo della bobina influisce attivamente sul suono. Più che il filo, che è comunque di rame, è l'isolante che lo ricopre che determina variazioni di spessore e quindi di sonorità. Ne esistono principalmente tre tipi: l'Heavy Formvar, utilizzato soprattutto da Fender negli anni cinquanta, enfatizza le frequenze medio-basse; il Plain Enamel, introdotto da Gibson e poi da Fender negli anni sessanta, enfatizza le alte rendendo il suono più brillante; il Polysol, molto in uso ai giorni nostri, genera un maggior equilibrio timbrico su tutto lo spettro del segnale. Lo spessore del filo di rame è espresso in AWG (American Wire Gauge) e le misure principali sono tre: AWG 42 (0,063 mm), AWG 43 (0,056 mm) e AWG 47 (0,036 mm). Minore è lo spessore del filo e minore sarà la resistenza a parità di spire. Facciamo un semplice esempio: 7000 spire di un filo che misura 42 AWG da una potenza di circa 5 KΩ, lo stesso numero di spire di un filo da 43 AWG offre una resistenza di 7 KΩ. Da menzionare sono anche i pick-up attivi, che hanno una bobina meno potente composta da un filo più spesso rispetto al passivo. All'interno dell'elettronica viene installato in preamplificatore (funzionante con una batteria da 9 V) che "aiuta" il segnale ad uscire dalla chitarra senza perdersi durante la sua corsa verso l'amplificatore. Questo fa si che si mantengano in vita più frequenze alte, facendo risultare il suono del pick-up attivo più squillante ed asciutto rispetto ad uno passivo.

Grazie a Romano Burini per l'assistenza tecnica.

venerdì 1 aprile 2016

giovedì 31 marzo 2016

L'IMPORTANZA DEL CAVO

Pubblico un mio articolo, scritto tempo fa per Strumenti Musicali, su come è fatto un cavo.

IL CAVO E LE SUE CARATTERISTICHE.

Il cavo è l'oggetto incaricato di far viaggiare il suono dalla chitarra all'amplificatore.

Parlare di differenze tra un cavo e l'altro è un argomento ostico. C'è chi dice che sono tutti uguali e chi, invece, sostiene che ci sono enormi differenze tra un cavo e l'altro. La verità come sempre sta nel mezzo. Partiamo con il dire che il cavo perfetto è quello che non c'è! Cioè un cavo deve essere trasparente e condurre il segnale senza influenzarlo in alcun modo. Fisicamente un cavo è composto da due conduttori sovrapposti (cavo coassiale), separati da un isolante. Il conduttore interno ha lo scopo di trasportare il segnale, mentre quello esterno è l'elemento schermante, cioè ha il compito di preservare il conduttore interno dalle interferenze. A separare questi due elementi c'è il dielettrico, uno strato di materiale che si trova intorno al conduttore centrale. Per la sua costruzione il cavo si comporta come un condensatore e in quanto tale è soggetto a induttanza e capacità. Analizzando nel dettaglio le parti che lo compongono, possiamo dire che un cavo di buona qualità deve essere costruito con materiale di buona qualità. Il rame più adatto è il rame OFHC, oxigen free high conductivity, puro al 99,9%. Particolarmente esente da ossigeno e perciò apprezzato per le applicazioni che richiedono altissima conduttività e malleabilità. Un buon cavo deve avere un numero di trefoli elevato, cioè il conduttore in terno deve essere composto da molti fili intrecciati in modo da aumentarne lo spessore e di conseguenza migliorarne la migliorarne la capacità conduttiva. Infatti maggiore è lo spessore del conduttore interno e minore sarà la resistenza che questo offrirà al passaggio del segnale. Da un punto di vista puramente elettronico, sarebbe meglio se il conduttore centrale fosse un unico elemento, questo però comporta una minore malleabilità e una maggiore propensione al danneggiamento. Un elemento composto da fili intrecciati è molto più malleabile e meno soggetto a pieghe che ne limiterebbero l'efficenza. L'elemento che caratterizza maggiormente l'efficenza del cavo è il dielettrico. Questo è posto tra l'elemento conduttivo e l'elemento schermante e, come dicevo prima, trasformo il cavo in un condensatore. Il materiale in cui è composto il dielettrico è il polietilene, compatto o espanso. Dalla qualità del polietilene dipende l'effetto capacitivo del dielettrico. Questo si comporta da filtro passa-basso, minore è la qualità maggiore è la capacità, di conseguenza aumenta l'attenuazione delle alte frequenze. A proteggere il cavo, infine, c'è la guaina in PVC (polivinilcloruro), materiale usato per la sua flessibilità e durata nel tempo. Se decidiamo di costruirci il nostro cavo da soli in casa è importante prendere in considerazione determinati parametri elettrici che poi andranno a caratterizzare il suono finale. Partiamo dall'attenuazione, cioè la diminuzione di intensità subita dal segnale durante l'attraversamento del cavo. Questo fattore dipende dallo spessore del conduttore interno: maggiore è il suo diametro minore sarà l'attenuazione del segnale. Dipende poi dalla composizione del conduttore esterno: più è efficace la sua azione schermante minore p l'attenuazione. Infine dalle caratteristiche del dielettrico: minore p la sua costante elettrica, minore risulta l'attenuazione. Altro fattore molto importante è l'impedenza, vale a dire l'opposizione che qualsiasi circuito offre al passaggio della corrente elettrica. Il cavo è un circuito elettrico a tutti gli effetti- E' importante che "l'impedenza caratteristica" di un cavo, che è il rapporto tra tensione applicata e corrente assorbita, sia la minore possibile.
L'efficienza di schermatura: con tale termine si denomina la capacità del conduttore esterno di opporsi alle interferenze elettromagnetiche esterne; oggi l'etere ne è pieno e il cavo è un'antenna che capta qualsiasi tipo di interferenza gli gira attorno. A completare il "pacchetto" ci sono i connettori. I criteri che secondo me dovrebbero indirizzarci verso la scelta del connettore giusto sono la robustezza, ossia la resistenza a possibili urti o calpestamenti vari, cose molto frequenti su un palco; l'assemblaggio del connettore: meglio un jack realizzato a monoblocchi che uno realizzato in più parti assemblate nel quale si avranno una serie di resistenze di contatto probabilmente superiori alla resistenza dell'intero cavo, senza considerare poi l'inconveniente tipico del distaccamento della pinta, che spesso e volentieri rimane dentro l'ingresso della chitarra o dell'amplificatore. Poi la precisione delle misure: a prima vista tutti i jack sembrano uguali, ma un connettore fuori tolleranza può danneggiare lo strumento o non assicurare un buon contatto. Come ultima cosa ascoltare! E' importante mettere a confronto i cavi e capire le differenze sonore che ci sono, come si fa con le chitarre, con gli amplificatori o con i pedali. Naturalmente stiamo parlando di variazioni infinitesimali se rimaniamo su cavi di alta qualità, ma diventano enormemente udibili se confrontiamo cavi "economici", dotati di connettori pressofusi in plastica, con cavi professionali con tutte le carte in regola. Diffidate di chi pubblicizza un cavo come "questo cavo enfatizza i bassi" oppure "questo cavo enfatizza gli alti e rende il tuo suono più brillante". Il cavo è un elemento passivo, non enfatizza ma taglia, è un filtro. Quindi se da un cavo sentite più frequenza basse è perché vengono tagliate le alte frequenze (effetto capacitivo) e non va bene! Il concetto fondamentale è: perché risparmiare sui cavi quando spendo montagne di euro su chitarre e ampli? I cavi sono la parte del nostro setup che è responsabile del passaggio del segnale dalla chitarra all'amplificatore, quindi possono influire attivamente sul nostro suono.

martedì 29 marzo 2016

SETUP FATTO IN CASA, REGOLAZIONI DI BASE SULLA CHITARRA ELETTRICA

Spesso si ricorre al liutaio anche per cose che potremmo fare da soli in casa, poi nella maggior parte dei casi non siamo soddisfatti del lavoro del liutaio perché non incontra le nostre preferenze. Parlo di action, altezza dei pickup e di tutte quello regolazioni che rientrano nella "sfera personale".
Di seguito pubblico un articolo che feci tempo fa per Strumenti Musicali, pubblicato a maggio 2010.

SETUP FATTO IN CASA, REGOLAZIONI DI BASE

Sono rare le volte in cui il setup di una chitarra nuova incontra a pieno le nostre preferenze, e anche un liutaio spesso non comprende quelle che sono le nostre esigenze. Che fare? Non ci resta che provare da soli!

Il problema di base è che non esistono regolazioni standard, ma regolazioni che rispecchiano il modo di suonare di ciascuno di noi. Ogni chitarra nuova ha un setup che si basa su specifiche di massima, che va poi personalizzato ed adattato al proprio tocco e al proprio stile. Innanzitutto è fondamentale accordare lo strumento, perché la tensione delle corde ne mette in evidenza lo stato. La prima cosa da controllare è il manico:basta premere il MI basso al primo e all'ultimo capotasto contemporaneamente e misurare la distanza della corda al centro del manico. Questa distanza deve essere di circa mezzo millimetro, che è quasi lo spessore di una carta di credito. Per modificare questa misura ci agisce sul truss rod, la vite posta ad una delle estremità della tastiera. Tirando il truss rod, cioè girando il bullone in senso orario, la distanza tra corda e tastiera diminuisce, viceversa allentandolo, quindi girando il bullone in senso antiorario, le corde si allontanano dalla tastiera. Chi ha un tocco "pesante" (come il sottoscritto!!) ha bisogno di aumentare questa distanza; sicuramente chi suona blues o rock predilige un manico che sia leggermente curvo. Chi invece si diletta ad usare la chitarra a mo' di mitraglia, sparando note a non finire, necessita di un manico il più possibile diritto. Una volta fatte le dovute regolazioni, si riaccorda lo strumento e si controlla l'altezza delle corde. Questa è soggettiva, ma fino ad un certo punto! Va misurata all'ultimo tasto: il MI cantino dovrebbe distare circa 2 mm dal manico, mentre il MI basso 2,5 mm. La regolazione dipende dal ponte; nei modelli tipo Floyd Rose o Tune'o'Matic si agisce sui piloni che ancorano il ponte al corpo della chitarra: alzandoli o abbassandoli varia l'altezza delle corde. Mentre sui ponti Tremolo Standard si agisce alzando o abbassando le sellette. Nel modificare l'altezza delle sellette è importante che queste mantengano il raggio di curvatura della tastiera. Solitamente si tende a tenere più alte le sellette delle corde RE e SOL per poi calare progressivamente verso il MI basso e il MI cantino. Esistono delle dime che misurano il raggio di curvature dalla tastiera che ci aiutano ad essere più precisi nella regolazione. Per il capotasto suggerisco di rivolgersi ad un liutaio, vista la "delicatezza" dell'argomento. Passiamo alla regolazione delle ottave. Questa regolazione consiste nell'intonare la chitarra al dodicesimo tasto: si deve confrontare l'intonazione della corda a vuoto con l'armonico al dodicesimo tasto e con la nota premuta sempre al dodicesimo tasto. La regolazione si fa spostando avanti o indietro le sellette del ponte. Se l'ottava è calante la selletta va spostata in avanti, verso il manico per intenderci, contrariamente se è crescente va spostata indietro. Se l'intonazione è calante l'ottava va allentata, mentre se è crescente va tirata, il contrario di quello che si fa con la corda a vuoto. Ad ogni spostamento della selletta la corda va riaccordata. Una volta fatta fatta questa regolazione, va regolata l'inclinazione del ponte. Nei ponti Tremolo Loking (Floyd Rose e derivati) è preferibile che la piastra del ponte sia parallela al corpo della chitarra. Questo fa in modo che la lama del ponte, che poggia sui piloni, lavori al meglio così da ottenere la massima tenuta dell'accordatura. Nei ponti tipo tremolo standard esistono due tipi di regolazione: una con il ponte appoggiato sul top e un'altra, più tradizionale, con la parte posteriore del ponte sollevata di circa 3 mm dal topo della chitarra. Ad ogni modo l'inclinazione del ponte dipende dal tiraggio delle molle. Questo varia grazie alle due viti che tengona la piastra alla quale è agganciata un'estremità delle molle (solitamente l'estremità fatta a cerchio). Avvitando le due viti aumenta il tiraggio delle molle e di conseguenza si avvicina il ponte al topo della chitarra. Naturalmente ogni variazione del tiraggio comporta il dover riaccordare lo strumento. A questo punto le regolazioni che riguardano la parte "liuteristica" della chitarra dovrebbero essere terminate; ci restano i pickup. Iniziamo dal single coil con poli in AlNiCo e dal pickup al manico. Premendo la corda all'ultimo tasto la distanza dal pickup dovrebbe essere di circa 2,5 mm al MI cantino e 3 mm al MI basso. Per i pickup al centro e al ponte si parte dagli stessi valori per poi avvicinarli in modo da cercare il giusto bilanciamento di volume. Il pickup al manico gode di una posizione privilegiata in quanto è il pinto in cui la corda vibra maggiormente ed emette il maggior volume. Più ci si sposta verso il ponte e più il volume diminuisce, quindi è importante bilanciare questo cambio di volume avvicinando progressivamente il pickup alle corde. E' importante però non avvicinarli troppo, perché il campo magnetico generato tende a stoppare le corde. I single coil ceramici e gli humbucker vanno gestiti nella stessa maniera, devono cioè essere distanziati di 1,5 mm al MI cantino e 2 mm al MI basso. Il fatto che il MI basso sia maggiormente allontanato dal pickup è dovuto dal diverso diametro delle corde. La corda vibra in senso circolare intorno a se stessa; una corda con diametro maggiore ha una vibrazione più pronunciata e tende, vibrando, ad avvicinarsi maggiormente al pickup rispetto ad una corda di diametro inferiore, generando così disparità di volume. Questo viene appunto compensato allontanando i bassi. A questo punto non ci resta che verificare se le regolazioni fatte sono di nostro gradimento. Un buon set up rende più suonabile il nostro strumento, am soprattutto ci invoglia ad imbracciarlo e non lasciarlo dentro la custodia.

Grazie a Romano Burini per la consulenza tecnica.

sabato 26 marzo 2016

IL MODO DORICO


In questo video parlo del mio approccio al modo DORICO. Fatemi sapere cosa ne pensate.

mercoledì 23 marzo 2016

PEDALI: TRUE BYPASS O BUFFER?

Pubblico un mio articolo, uscito tempo su Strumenti Musicali, che parla del BYPASS. Argomento che è spesso causa di gravi incomprensioni.
Fatemi sapere la vostra posizione in merito, buona lettura!

PEDALI: SI INIZIA DAL BYPASS.

Da questo articolo cercheremo di addentrarci nella vasta e incontaminata giungla dei pedali. Riusciremo ad uscirne vivi?

È da qualche anno oramai che i pedali spuntano fuori come funghi. Girando in internet si scoprono ogni giorno marchi nuovi mai sentiti prima. C’è il negozio di fiducia che li importa dagli angoli più remoti del pianeta. Possiamo dire con certezza che questa è l’era del pedale. Dopo gli anni Ottanta dove non eri nessuno se non ti presentavi su di un palco o in studio di registrazione con almeno dodici unità rack, oggi non sei nessuno se non hai la pedaliera stracolma di pedali. Proveremo a fare chiarezza cercando di analizzare le differenze e il funzionamento dei vari pedali, per poterne acquisire maggiore consapevolezza nell’utilizzo.
Prima di parlare di pedali quali overdrive, distorsioni o modulazioni, è molto importante capire come si comportano quando sono spenti. Ogni pedale che si aggiunge alla nostra pedaliera comporta un’interruzione del cavo, un aumento della lunghezza del cavo stesso e, automaticamente, maggior degrado del segnale. Oggi avere pedaliere composte da decine di pedali è diventata una moda più che un’esigenza, una moda che, nella maggior parte dei casi, restituisce all’ampli un suono che è la brutta copia di quello che esce dalla chitarra. Come avrete già capito, in questo articolo sarà messo sotto esame il fantomatico “bypass” che, entrando in funzione a pedale spento, determina attivamente la qualità del suono. Si, perché un pedale se acceso può essere più o meno bello secondo i gusti personali, ma da spento deve essere trasparente, cosa che non sempre avviene.
Esistono due tipi di bypass: il true bypass e il circuito di buffer. Le differenze tra i due sono sostanziali. Nel primo caso, il true bypass, l’ingresso del pedale è collegato direttamente e meccanicamente all’uscita, grazie ad un relè o ad un interruttore. Nel  secondo caso, cioè il buffer, la cosa è un pochino più complessa. Il segnale attraversa un circuito a guadagno unitario dove l'ampiezza del segnale al suo ingresso la si ritrova in uscita moltiplicata per uno, quindi invariata. Il buffer altro non fa che trasformare il segnale ad alta impedenza proveniente dalla chitarra in un segnale a bassa impedenza. Può essere passivo o essere realizzato basandosi su componenti attivi come transistor bipolari, mosfet, amplificatori operazionali o anche valvole termoioniche.
Entriamo ancora di più nel particolare. Nell’articolo precedente abbiamo parlato di cavi e di come questi, nel momento in cui vengono attraversati da un segnale elettrico, si comportano da veri e propri condensatori. Questo concetto è esteso a tutti i componenti elettrici attraversati da un segnale elettrico. Il fenomeno è maggiore se il segnale è ad alta impedenza, come quello della chitarra. Quindi, concettualmente, il buffer serve a limitare questo, chiamiamolo così, “effetto condensatore”, in quanto fa sì che il segnale, essendo a bassa impedenza, risulti meno soggetto alle capacità parassite che incontra nel suo percorso e si mantenga inalterato fino a destinazione. L’effetto che hanno queste capacità parassite sommate una all’altra (stiamo parlando nell’ordine dei nF, nano Farad) è quello di tagliare le frequenze medio/alte rendendo il suono più scuro, meno brillante. È chiaro che, a questo punto, la qualità del buffer è ancora più importante del suono del pedale.
Negli anni ci si è orientati verso l’uso di pedali true bypass a causa della scarsa qualità dei buffer presenti nei pedali in commercio. In questo modo si risolve un problema ma se ne crea un altro. Il true bypass non abbassa l’impedenza del segnale che sarà sensibile alle capacità parassite insite nel cavo le quali causeranno un forte degrado del segnale. Quindi utilizzare solo pedali true bypass è una soluzione poco praticabile. In merito a questo c’è un interessante articolo di Pete Cornish dal titolo “The case against true bypass” che potete trovare sul suo sito e che vi invito a leggere, a me personalmente ha chiarito molto le idee.
Le soluzioni possibili potrebbero essere due. Nel caso si voglia optare per l’utilizzo di soli pedali true bypass la strada maggiormente praticata è quella di inserire un buon buffer all’inizio della catena dei pedali, a patto che sia del tutto trasparente. Questo buffer abbasserà l’impedenza del segnale che arriverà “invariato” a destinazione. Se invece si utilizzano sia pedali true bypass che non, il problema non si pone in quanto il buffer presente nei pedali che non sono true bypass farà in modo di abbassare l’impedenza del segnale.

Una considerazione è d’obbligo: i pedali true bypass hanno un costo elevato, anche perché rientrano in quella categoria denominata “boutique”. Anche i buffer di buona qualità costano. È importante valutare se il miglioramento effettivo del suono giustifica una spesa così elevata o se, accettando dei compromessi, si riesca comunque ad ottenere un buon suono: magari con i soldi risparmiati riusciamo ad acquistare un altro pedale!